"Gonzo Muziko" (2011) - "Zutaten" (2009)
Un agglomerato di eclettismo e fantasia. Questi album sembrano
nutrirsi di rifiuti. Usano ciò che nell'ordinarietà passa inosservato
per generare rumori rimessi in ordine. Un folle esperimento di cubismo
chirurgico si potrebbe definire. Punk, funky, dub, techno, country punk,
garage, elettronica passati al macero e riciclati per composizioni
originali e dissacranti. Si potrebbe pensare all'acuta genialità di
esperimenti tentati in periodo new wave da band alternative e
controcorrente quali Central Unit e Stupid Set. Alla rievocazione della
teoria dell'oscurità professata dai Residents o agli scritti sul cut up teorizzati
da Burroughs. Ricerca percettiva e visiva rievocata attraverso gli
inserti. Lo scarto dell'era consumistica e superficiale che viene
incanalato dall'estro creativo e dal buon gusto di chi ha maggiore
sensibilità per regalarsi calore ed emozioni in un mondo alienato e
distaccato da tutto.
Travolgenti pezzi di elettronica come
Robo Clock, i collage inaspettati di
Sombart & Weber e
Saspananda.
Per essere un parcheggiatore abusivo, Garage Boy sfoggia un catalogo
ricchissimo di conoscenze che spaziano l'intero repertorio letterario,
cinematografico e musicale del post punk e della No New York influence.
Post Gestalt Blues,
The star sign,
Low energy rechargeable man,
ci riportano alle avanguardie visionarie di Glass e Ayler. Brani
cacofonici, la plumbea cripticità del basso, le incursioni
schizofreniche delle tastiere ci mettono davanti ai contrasti evidenti
della modernità. Paranoie, disagio, conformismo, violenza gratuita. Un
modo per esorcizzarle e per umanizzarle.
-Romina Baldoni
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