Alexander De Large, come nome, vi fa venire in mente quel capolavoro che è “Arancia Meccanica” di Kubrick? É chiaro, e come potrebbe essere altrimenti? Mi son chiesto che tipo di collegamento ci potesse essere con la musica, scegliendo un nome del genere. Fondamentalmente si è trattato di una domanda inutile, perché quando ti metti ad ascoltare “Colors” ti rendi conto che più che il nome dell’artista conta appunto il titolo del disco. Sì perché questo lavoro cantautorale che si muove sui binari caldi e suadenti del Folk prende le sembianze di un viaggio visivo-sonoro tra i quattro colori che il musicista ha scelto di analizzare e raccontare, vivendoli in modo tanto importante da intitolare in loro onore 4 delle sue 5 tracce; ecco così “Blue“, “Red“, “Yellow” e “Black“. L’ultima traccia del disco, “Goin’ Blind“, segna poi il forse inevitabile finale di un tragitto acceso e quasi sempre luminoso che non poteva finire che in maniera triste e dura, un finale tanto difficile da accettare che De large ha dovuto impiegare, per narrarcelo, una traccia non sua da coverizzare, la bellissima ”Goin’ Blind” dei Kiss che trovò forse la propria essenza autentica quando fu rifatta dai Melvins di “Houdini”.
Il modo di fare musica di questo ragazzo attinge a piene mani dal grande cantautorato internazionale del passato, non c’è dubbio. C’è qualche spunto che sa di “modernità”, soprattutto grazie a qualche chitarra più sporca(cciona) usata qua e là, ma fondamentalmente il buon Alexander De Large sembra essere andato ad abbeverarsi alle genuine e pure fonti dei Maestri del settore come il Leonard Cohen degli anni ’70, il gentile e pensieroso Tim Hardin e magari anche la versione di Scott Walker più scarna e oscura. “Colors” è un disco che sembra stare fuori dal tempo perché, pur appartenendo alle uscite del 2012, non sa di XXI secolo, e anzi riesce a colpire proprio per la sua natura di disco scollegato dalla necessità di collocarsi in un’epoca, in una scena, in una schiera di artisti contemporanei simili. Il musicista che qui si firma Alexander De Large ha anche altri progetti musicali e in questo caso sembra essersi concesso lo spazio e il tempo (addirittura lo sfizio?) per dedicarsi a quelle parole e a quei suoni più intimi e notturni di cui forse sentiva il bisogno proprio in questa fase del suo percorso artistico. Sicuramente è riuscito a confezionare un piccolo, interessante album che non ha la pretesa di colpire o di sembrare innovativo e particolare, ma che semplicemente serve per comunicare certe necessità interiori, certe sensazioni da non reprimere nei posti più bui dell’anima. Il viaggio un po’ Country tra i colori di De Large non dura molto, è vero, ma sa di breve piacevole gita della domenica, il cui momento migliore, chissà perché, è quello in cui si passa dal “Black“, colore summa di tutte le sensazioni ed emozioni più recondite e personali. Quelle che Alexander De Large ci teneva a raccontarci dal suo punto di vista. Voto 6,8
- Emanuele Giaconi
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