Un battito di ciglia, sfuocate polaroid in bianco e nero o con macchie rosso marcio da mestruo rancido. Flash primordiali, improvvisazioni senza voce, mini-spots di violenza, incomunicabili sms subliminali lanciati da teletrasmettenti del periodo nazista. Se vi dicessi che Crazy Crazy Jingles for you si snocciola in 18 tracce che sommate assieme, compresi i sospiri, valgono meno di quarto d’ora?! Meno del tempo per rollare una canna e fumarla in compagnia!
Questo è il mondo corrotto di Santabinder: geniale nella sua semplicità. Arriva subito al punto, come un guantone intriso di sudore sul muso di un kickboxer tailandese. Per far questo basta una chitarra, un registratore ed un effetto etereo che si perde prima ancora di poterlo afferrare tra le mani.
Un disco di jingles, volgarmente parlando. Micro esperimenti, così come vengono, istintivi come quando fuori fa freddo e si strimpellano emozioni sciolte in acqua ed tachipirina, senza preamboli, senza cornicette da terza elementare: così come viene!
Ed a pensarci bene è così che dovrebbe essere la musica. Prendi un riff, suonalo come se non esistesse altro, ripetilo fino alla nausea, schiaccia REC e poi dimenticalo. Il tutto non si estende per più di un minuto, giusto il tempo di memorizzarlo nel hard disk della memoria breve.
La voce sintetizzata, senz’anima, quasi infantile ha il pregio di non enfatizzare (o forse di mortificare) tutto il progetto di Santabinder: un ottimo depistaggio, maestro di dissimulazione. Far correre un 33 giri come un 45: se la testa gira-e-gira allora sei a bordo! Non è un disco da prendere sul serio, e se avete avuto questa impressione, l’inganno dell’autore è compiuto. C’è abbastanza sperimentazione per una sbronza, i canonici generi musicali sono assenti giusticati, stanno seduti al cesso a meditare.
Syd approverebbe ma forse gli sfuggirebbe qualcosa.
Facciamo qualche esercizio, per prender pratica: Free Ballad e Mojito swimming sono tanto colorati quando succosi ed affievoliti da un vento estivo, non omologabili ma già riconoscibili dopo il terzo ascolto. Sguero esagera nel minutaggio, e suona come l’ultimo Thunders in astinenza: alla fine ci si chiede se esiste veramente un blues, un rock, un folk?! Tutto perde la propria dimensione, relativo diventa l’aggettivo più azzeccato. We’re down down down in the morning suona come una ninnananna da tragico risveglio, senza sbadigli e senza caffeina. Django, per esempio, potrebbe venire da Memphis o dalla laguna, nel suo formato tascabile, universale, impalpabile al tatto. L’onopatopeico Uacciu uì uacciu ua’ è il tom tom per l’anglofobo peccatore, mentre soffoca in lenzuola di plastica il sussuro di Searching & Telling, finchè i Fiocchi di neve ci corrodono la testa, oh yes!
42esima uscita della Lepers Records, fiera di questo gioiello dai tratti criptici. Ridono gli scettici, per ogni emozione nuova. Eppure Santabinder non ha composto questi sketch musicali in un pomeriggio: ciò che appare istintivo alla pratica, è contorto nella sua elaborata teoria. Svezzare questi 18 pargoli di piccola statura da una bella sensazione! Come il tè alle cinque o la “grappa fatta in casa da zia Marieta” …
- Gus
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