E’ il combo-monstre dell’etichetta. (Superfreak + Alexander De Large + Pete Jones + Gigi + Arial Messia). A volte – sia detto senza offesa – sembrano una via di mezzo tra i Pearl Jam meno addomesticati e dei Poguessotto sedativo, altrove macinano marcette caracollanti come burattini esplosivi dileggiando odi alla legna norvegese, oppure te li ritrovi a sciorinare selvaggia generosità arty come dei Butthole Surfers primitivi(sti) o dei Pere Ubu tribal blues. E via con le chitarre strappate al garage, le percussioni tumide, tastierine, blues agri e agresti, saltarelli nonsense per titillare gli stanchi timpani, ballads malferme da Langhorne Slim fetido (e un po’ feticista), pop rock sprimacciato come dei Pumpkins aizzati a Pavement. Un patchwork sconcertante e (quindi) godurioso.
(7.4/10)
- Stefano Solventi
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