Cristio, cives banini sunt
Maggio 14, 2010
Sono un tirapacchi, non vado mai a trovare gli X-Mary a San Colombano. Nemmeno nella stagione del vino, che ci fanno la festa e non si pensa ai problemi: allora cosa fa Cristiano Alberici? Raccoglie Michele Napoli -batterista dei Peawees- e assieme ad uno stuolo di partner intensifica il lato power pop della vicenda, rimasticando le rispettive influenze veloci ed energetiche. Nasce “Adult taste”, l’esordio di Cristio per una lunga syndication di contributori.
Sono infatti le varie Noiseville, Musica Per Organi Caldi, HysM, Eclectic Polpo, Lepers Produtcions, Hetichetta Shilluti, Sangue Disken, Davide Brace Records (!) a coprodurre l’album, che si avvale di iconografia romana e sta per andare in tour coi suoi artefici in Italia e Germania. E’ dal vivo, sicuramente -grazie anche alla presenza del chitarrista Alessandro Tedesco- che il progetto dispiega al massimo tutti i suoi valori, esattamente come succede ai grandissimi X-Mary.
Due le direttrici fondamentali, quella che dal rock da balera muove verso l’hardcore e il p-funk, e una popular, quasi leggera. Alla prima fa riferimento l’iniziale Tempesta, che in perfetta tradizione cristianica conosce diversi momenti dissonanti tra loro, con l’apporto della tromba di Aldo Donelli. Above the tree (fall in love) invece, sarà per la scelta di tenere le voci più sostanziali alla froma canzone, devia verso un creme caramel pop/rock abbastanza classico una volta divelta la crosta math che la apre e che ogni tanto spunta nel corso dell’opera. Stereogirl apre di hammond -lo suona Paolo Negri, già nel Link Quartet- ed è liquefacente nel trasmettere sempre un pa(l)pabile divertimento nonsense dei performer, è Fabio Magistrali al mixer oltre che al raddoppio di tastiera in un pezzo che diventa una sentenza di forza. Violini è la traccia 4, voiceless, e ha il compito di preparare il terreno per l’attesa di Salita in bici giocando sui contrastri tra una prima parte blanda e ordinaria e una seconda esplosiva, r’n'r: il brano che segue riporta un minimo di ordine anche se non c’è da giurarci troppo, infatti presto la bussola va a farsi benedire sotto rasoiate in prestito dall’hc e assoli abortiti. Magic paper è palestra di sana pazzia drogata, quei buoni propositi che dal vivo si esplicano in tutta la propria saltellante richiesta di persone sotto il palco: strati di suono e vocalizzi, collettivo animale casareccio, il brano “più” di una raccolta già di per sè efficace… e Granito come vuoi che suoni? Punk primordiale che mitiga lo screamo con la no wave dei fiati affogata sotto i colpi. E’ So sad uno dei pezzi di traino, cantabile e singolabile se questi sono intenti che si confanno alla storia che ora si espone, piena di sottotesti percussivi e dalla quale è difficile ricavare troppe filosofie sovrastrutturali; Sala giochi piuttosto è secca di batteria, quadrata e poi acida come invoca il titolo, se fosse una chaos box che rilascia verso la fine, e I can’t chiude in bellezza con il power pop preventivato, basso a martello e coralità da urlare alla maniera old emo, sventrata dai papparapà di gioia samba. Emozione per un discorso che si appoggia a prescindere, e che -ribadisco- andrà assolutamente testato sul palco, in attesa dell’immancabile nuova produzione dei quattro banini.
-En.Ver.
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