No, questa non è una recensione sui Toto, né sull’Africa.
Uhm, aspetta un momento sull’Africa e sullo stereotipo immaginifico che la terra del sole rappresenta sì! Il disco dall’elefante rombante in tutta la sua folle corsa verso il centro commerciale più vicino, è l’opera afro-wave (sono a corto di neologismi!) di Solquest, Alexander De Large e Superfreak che in questa cerimonia farsesca rinascono sotto il nome di Bokassa’, in onore al dittatore africano dedito al cannibalismo.
Summit rappresenta non solo l’immancabile momento di jam-session, ma più in profondità, è un lavoro dedito ad un underground in cerca di sonorità più aperte e calde, tribali in minuscole sfaccettature, “africanizzate” per le barbarie perpetuate ad un tessuto sono originale ed acuto, dall’uso del baglamas al più sofisticato theremin.
Il tema dettato in bella calligrafia corrisponde ad un jazz movimentato, fresco e passionale, detronizzato dalla sua posizione originale e sperimentato fino al midollo; per comprendere l’opera nella sua interezza (oramai lo avrete capito che le uscite di HysM? e soci non sono mai per un ascolto casuale) bisogna soffermarsi sul paradosso democratico di libertà-dittatura del quale il continente africano è assoluto protagonista. Sfumature intellegibili che smascherano il KKK (traccia n.2 KKK Koning Kaizer Kannibaal), gli USA (in Stati Uniti d’Africa), le dittature moderne che si mettono le penne nel culo per sembrare più liberali.
Tutti i luoghi comuni trovano il proprio sfogo naturale in 7 brani + 1 che tra melodie tribali, riti propiziatori con sei o 4 corde e cori demoniaci chiudono il cerchio della ricerca sonora a favore di un mix bilanciato di musica globalizzata ma senza etichetta alcuna.
Ecco perchè l’ascolto distratto a volte è migliore dello studio minuzioso, Summit nel suo complesso regala le giuste vibrazioni, tra danze della pioggia in Japannese-Africaanse a monumentali fraseggi da piano bar in Heinrich de Kuh: ciò che resta impiastricciato nell’orecchio è qualcosa che porta molto in là con l’immaginazione, a rimarcare quell’iraconda corsa dell’elefante della cover.
Un impensabile lato C (già, il disco si ascolta in 3D), ospita con Africa Mambata un ritmo meccanico non dissimile ad un Emilia Paranoica, decongestionando ogni passione primordiale tra solfeggi e ululati deificati passando per un finale esoterico da tempio buddhista: chissà se questi cannibali non decidano di conquistare pure il sol Levante.
Uhm, aspetta un momento sull’Africa e sullo stereotipo immaginifico che la terra del sole rappresenta sì! Il disco dall’elefante rombante in tutta la sua folle corsa verso il centro commerciale più vicino, è l’opera afro-wave (sono a corto di neologismi!) di Solquest, Alexander De Large e Superfreak che in questa cerimonia farsesca rinascono sotto il nome di Bokassa’, in onore al dittatore africano dedito al cannibalismo.
Summit rappresenta non solo l’immancabile momento di jam-session, ma più in profondità, è un lavoro dedito ad un underground in cerca di sonorità più aperte e calde, tribali in minuscole sfaccettature, “africanizzate” per le barbarie perpetuate ad un tessuto sono originale ed acuto, dall’uso del baglamas al più sofisticato theremin.
Il tema dettato in bella calligrafia corrisponde ad un jazz movimentato, fresco e passionale, detronizzato dalla sua posizione originale e sperimentato fino al midollo; per comprendere l’opera nella sua interezza (oramai lo avrete capito che le uscite di HysM? e soci non sono mai per un ascolto casuale) bisogna soffermarsi sul paradosso democratico di libertà-dittatura del quale il continente africano è assoluto protagonista. Sfumature intellegibili che smascherano il KKK (traccia n.2 KKK Koning Kaizer Kannibaal), gli USA (in Stati Uniti d’Africa), le dittature moderne che si mettono le penne nel culo per sembrare più liberali.
Tutti i luoghi comuni trovano il proprio sfogo naturale in 7 brani + 1 che tra melodie tribali, riti propiziatori con sei o 4 corde e cori demoniaci chiudono il cerchio della ricerca sonora a favore di un mix bilanciato di musica globalizzata ma senza etichetta alcuna.
Ecco perchè l’ascolto distratto a volte è migliore dello studio minuzioso, Summit nel suo complesso regala le giuste vibrazioni, tra danze della pioggia in Japannese-Africaanse a monumentali fraseggi da piano bar in Heinrich de Kuh: ciò che resta impiastricciato nell’orecchio è qualcosa che porta molto in là con l’immaginazione, a rimarcare quell’iraconda corsa dell’elefante della cover.
Un impensabile lato C (già, il disco si ascolta in 3D), ospita con Africa Mambata un ritmo meccanico non dissimile ad un Emilia Paranoica, decongestionando ogni passione primordiale tra solfeggi e ululati deificati passando per un finale esoterico da tempio buddhista: chissà se questi cannibali non decidano di conquistare pure il sol Levante.
Nessun commento:
Posta un commento